Le nuove fonti energetiche nel trasporto a temperatura controllata

Il 15 giugno si è svolto a Villafranca di Verona presso il Museo Nicolis, Zerogradil’appuntamento patrocinato dal Freight Leaders Council dedicato alla logistica a temperatura controllata. Una giornata di lavoro costituita da diversi momenti di confronto e approfondimento su tecnologie, normative e proposte del mondo a zero gradi. Tra questi, il Convegno istituzionale sul tema “Le nuove fonti energetiche nel trasporto a temperatura controllata”  durante il quale sono intervenuti Maurizio Di Blasio, Senior Sales Engineer Webfleet Italia di Bridgestone Mobility Solutions; Marcello Di Caterina, vicepresidente ALIS; Maurizio Monfredini, Responsabile Marketing DAF Veicoli Industriali Spa; Valerio Vanacore, Responsabile Trazioni Alternative IVECO Mercato Italia e il presidente FLC Massimo Marciani che ha tenuto la relazione introduttiva del Convegno.

Qui la registrazione dell’intervento del presidente FLC: 

La registrazione integrale del Convegno è disponibile cliccando qui

Riportiamo di seguito la relazione introduttiva del presidente FLC, Massimo Marciani.

Le nuove fonti energetiche nel trasporto a temperatura controllata: relazione introduttiva a cura di Massimo Marciani

Il trasporto a temperatura controllata racchiude in sé le medesime difficoltà di qualsiasi altro trasporto di merce varia con la complicanza che la merce deve essere mantenuta a temperatura costante non solo quando viaggia, ma anche in tutto il ciclo logistico. Quindi, nel caso di trasporto a temperatura controllata, dobbiamo
necessariamente tenere sotto controllo la fonte di trazione, la fonte di refrigerazione e i materiali utilizzati.

Un interessante e unico inquadramento del comparto arriva da OITAf, Osservatorio Interdisciplinare Trasporto Alimenti e Farmaci, polo consultivo e propositivo con la finalità di indagare e approfondire le tematiche connesse al trasporto del cibo, dei prodotti freschi in genere e di quelli che necessitano una conservazione a temperatura controllata (farmaceutici e cosmetici), con la pubblicazione del primo e del secondo quaderno sul trasporto ATP sulla base dei dati raccolti negli archivi della Direzione Generale per la Motorizzazione presso il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili.

Nel secondo quaderno si tratta dei rimorchi e semirimorchi che denunciano un’età media di 16,4 anni. Si tratta di un dato nazionale che presenta forti variazioni a livello regionale con le aree del Nord Est che non superano un’età media di 13,9 anni e con il Mezzogiorno fanalino di coda: nelle regioni del Sud, dove si concentra il 44,8% del parco trainati ATP, l’età media raggiunge i 17,4 anni. La flotta italiana di rimorchi e semirimorchi ATP è dunque costituita in massima parte da mezzi già declassati a Isotermici Normali per il trasporto da 0° C in su, nonostante da diversi anni siano presenti sul mercato soluzioni avanzate che consentono di efficientare i consumi, le emissioni di CO2 e di altri inquinanti e la sicurezza dei prodotti alimentari. La vetustà dei trainati è riconducibile in ultima analisi ad una netta prevalenza del conto proprio nello scenario del trasporto a temperatura controllata. Oltre il 60% dei trainati presi in esame è infatti di proprietà di aziende focalizzate sulla produzione e sulla commercializzazione che possiedono un solo mezzo e che intendono il trasporto come strumento necessario ma non strategico. Le grandi flotte di trainati, quelle conto terzi che potrebbero applicare economie di scala, sono solo poche decine e rappresentano quindi una rarità nel panorama italiano.

Il primo libro bianco fotografa fedelmente la consistenza, la distribuzione sul territorio e l’aggregazione in flotte dei veicoli refrigerati destinati al trasporto degli alimenti, che sfiorano il totale di 200.000 unità tra veicoli e semirimorchi. L’elaborazione sviluppata da OITAF, accompagnata da grafici e tabelle, ha messo in luce numeri interessanti. La regione con il maggior numero di veicoli ATP – esclusi i semirimorchi – è la Campania, con 15.051 unità, seguita dalla Lombardia con 13.454 e dal Lazio con 12.073. Ragionando per aree Nielsen, il Sud è primo, con 41.902 veicoli, seguito dal Centro con 26.797 e poi da Nord Est e Nord Ovest. In totale i veicoli ATP censiti sono 118.318. Distinguendo ulteriormente tra furgoni (Light Commercial Vehicle, fino a 35 quintali) e autocarri (M HCV, Medium Heavy Commercial Vehicle, oltre 35 quintali), la Campania conserva il primato per la prima categoria, mentre la Lombardia è prima per gli M-HCV.

Se ci concentriamo sulla trazione, quindi sulla tipologia di motore endotermico o no, possiamo considerare le diverse declinazioni dell’alimentazione tradizionale – biocarburanti ed e-fuels – e i veicoli a zero emissioni.

I biocarburanti sono combustibili prodotti da materiale organico rinnovabile come biomassa, olio da cucina o grassi animali. HVO, etanolo e biogas sono tutti combustibili derivanti dalla rivalorizzazione della biomassa.

Gli e-fuels, noti anche come carburanti sintetici, sono prodotti utilizzando energia elettrica rinnovabile per scindere l’idrogeno verde prodotto dall’elettrolisi dell’acqua catturando al contempo l’anidride carbonica.

La Germania e l’Italia – dove l’industria automobilistica rappresenta rispettivamente il cinque e il sei per cento del prodotto interno lordo – si sono opposte al divieto dell’UE di vendere motori a combustione a partire dal 2035 chiedendo di rivedere la proposta per includere rispettivamente gli e-fuels e i biocarburanti, biometano in primis. Questo perché questo tipo di scelta tecnologica potrebbe rappresentare un modo più conveniente per avviare una profonda decarbonizzazione del settore. Ma anche all’interno di questa soluzione ci sono punti di vista profondamente diversi sulla scalabilità di ognuna delle due soluzioni. Per i biocarburanti, infatti, si tende ad operare una chiara distinzione fra la produzione derivante da oli vegetali come l’olio di colza e di palma, o quella da materie prime di scarto come gli oli da cucina usati.

La sostituzione dei combustibili fossili con i biocarburanti ha il potenziale di ridurre alcuni aspetti indesiderati della produzione e dell’uso dei combustibili fossili, tra cui le emissioni inquinanti convenzionali e di gas serra (GHG), l’esaurimento delle risorse primarie e la dipendenza da fornitori esteri, il tutto in un’ottica di economia circolare. La domanda di biocarburanti potrebbe anche aumentare il reddito dei terreni agricoli e della filiera agroalimentare in generale. D’altra parte, poiché molte materie prime per biocarburanti richiedono terra, acqua e altre risorse, la ricerca suggerisce che la produzione di biocarburanti può dare origine a diversi effetti indesiderati. Tra i potenziali inconvenienti vi sono i cambiamenti nei modelli di utilizzo dei terreni che, alla lunga, possono anche portare ad aumentare le emissioni totali di gas serra, l’aumento della domanda di risorse idriche, l’inquinamento dell’aria e dell’acqua e l’aumento dei costi alimentari. A seconda della materia prima, del processo di produzione e dell’orizzonte temporale dell’analisi, i biocarburanti possono emettere anche più gas serra di alcuni combustibili fossili a parità di energia. Inoltre, per competere economicamente con i combustibili fossili, i biocarburanti tendono a richiedere sussidi e altri interventi di mercato, creando squilibri nell’economia.

La sostituzione dei combustibili fossili con i biocarburanti ha il potenziale per generare una serie di benefici. A differenza dei combustibili fossili, che sono risorse esauribili, i biocarburanti sono prodotti da materie prime rinnovabili. Pertanto, la loro produzione e il loro utilizzo potrebbero, in teoria, essere sostenibile sul lungo e lunghissimo termine, anche all’infinito.

Sebbene la produzione di biocarburanti comporti emissioni di gas serra in diverse fasi del processo, i biocarburanti possono portare a riduzioni delle emissioni di gas serra nel ciclo di vita rispetto ai carburanti convenzionali (Hertel et al. 2010, Huang et al. 2013). I biocarburanti di seconda e terza generazione hanno un potenziale significativo di riduzione delle emissioni di gas serra rispetto ai carburanti convenzionali perché le materie prime possono essere prodotte utilizzando terreni non adatti alla coltivazione a scopo alimentare. Inoltre, nel caso della biomassa di scarto, non è necessaria alcuna produzione agricola aggiuntiva e le emissioni di gas serra indirette sono minime se i rifiuti non hanno altri usi produttivi.

I biocarburanti possono essere prodotti dovunque a livello nazionale, il che potrebbe portare a una riduzione delle importazioni di combustibili fossili da parte del nostro Paese. Se la produzione e l’uso di biocarburanti riducessero il nostro consumo di combustibili fossili importati, potremmo diventare meno vulnerabili agli impatti negativi delle interruzioni dell’approvvigionamento come in questa fase di grande instabilità a livello europeo e mondiale.

In Italia il metano utilizzato per autotrazione è già per il 35% di origine Bio da materiali di puro scarto e non utilizza colture dedicate, quindi il nostro Paese nel computo della CO2 emessa riscontra un saldo negativo. In questo senso siamo quindi una buona pratica nel settore.

Pertanto possiamo concludere che l’utilizzo dei biocarburanti derivati dal recupero della frazione umida dei rifiuti e dai materiali di scarto dell’industria agroalimentare e dell’agricoltura può essere un valido supporto nel processo di decarbonizzazione del settore ma non riuscirebbe, se non con il supporto di un processo di produzione agricola primaria che come abbiamo visto sembra essere poco sostenibile sul lungo periodo, a soddisfare la domanda attuale di carburanti per la nostra mobilità.

Da questo punto di vista quindi i carburanti sintetici, gli e-fuels, rappresenterebbero una fonte di energia rinnovabile più scalabile rispetto alle materie prime da biomassa utilizzate per i biocarburanti. Ma l’idrogeno verde potrà essere prodotto in futuro in quantità sufficienti a soddisfare la domanda per la produzione di questi carburanti? Un’altra questione problematica è il costo e la disponibilità dell’idrogeno verde, così come il costo e la disponibilità della CO2.

La posizione sostenuta dalla Germania in un documento inviato alla Commissione Europea nella fase dibattimentale del Green Deal è che – sulla base dello stato dell’arte dei sistemi di propulsione esistenti – gli e-fuels e i biocarburanti sostenibili (quelli per intenderci inseriti nel ciclo di economia circolare) sono l’unica via per ridurre le emissioni di CO2 fossili. Gli attuali sistemi di propulsione a batteria al momento aggiungono un peso significativo ai veicoli commerciali pesanti che ne limita di fatto autonomi ed utilizzo (in termini di economicità). Altri sistemi di propulsione prevedono una tale complessità tecnica che, al momento, la loro efficacia complessiva non è così evidente. Anche se nel prossimo futuro venisse sviluppato un nuovo sistema di propulsione a zero emissioni adatto a questo settore, sostiene sempre la Germania, non saremo in grado di dismettere tutti questi veicoli, a causa degli elevati costi associati a questo tipo di transizione. La memoria presentata alla Commissione Europea chiude con la tesi che per molti anni o decenni a venire, dovremo utilizzare combustibili liquidi a base di carbonio per alimentare la maggior parte di veicoli commerciali pesanti, locomotive, navi/aerei di lunga percorrenza, mezzi di trasporto che sono in esercizio in questo momento.

Gli e-fuels sono comunque combustibili a base di carbonio e la loro combustione produce all’incirca la stessa quantità di CO2 dei loro analoghi vettori fossili. Quindi non sono privi di emissioni ma nel ciclo completo queste sono neutre e, sebbene non contengano impurità come metalli pesanti e zolfo, la loro combustione produce comunque inquinamento da particelle, NOx, CO e CO2.

Ma soprattutto gli e-fuels consentono di utilizzare le infrastrutture esistenti di distribuzione dei combustibili liquidi, impianti di stoccaggio, stazioni di rifornimento, etc. Alcuni e-fules a carbonio liquido possono essere utilizzati per alimentare l’intera flotta di trasporto degli operatori logistici senza modifiche sostanziali ai sistemi di propulsione; altri a carbonio liquido (e-metanolo) richiedono alcune piccole modifiche nella progettazione dei sistemi di propulsione. Ma soprattutto è possibile sostituire completamente i carburanti fossili convenzionali con e-fuels così come miscelarli per soddisfare la domanda complessiva.

In aggiunta l’efficienza well-to-wheel dei motori a combustione interna alimentati con e-fuels è circa la metà di quella dei motori alimentati con combustibili fossili. L’efficienza di un ICEV alimentato a e-metanolo è del 14%, mentre quella di un ICEV alimentato a e-carburante è solo del 12%.

Possiamo quindi concludere che lo stato dell’arte della tecnologia per la produzione di e-fuels è ancora su a livello dimostrativo e non su ampia scala pertanto si può sostenere che – insieme ai biocarburanti derivati da biomasse – abbiano il potenziale per fungere da carburanti “ponte” per la decarbonizzazione a breve termine di aerei, navi, veicoli commerciali pesanti e locomotive, in attesa che vengano sviluppati sistemi di propulsione a emissioni zero adatti alle esigenze specifiche di questo settore.

Se quindi in un quadro complessivo di decarbonizzazione della logistica ed in particolare dell’autotrasporto gli e-fuels – come indicato dalla Germania e come successivamente ratificato dalla Unione Europea – sono vettori adatti a favorire questo processo di transizione, allo stesso modo l’Italia deve promuovere e sostenere il ruolo dei biocarburanti, tra cui primariamente il biometano che come abbiamo visto costituisce una vera eccellenza nazionale ed una buona pratica non solo per la sua produzione ma anche per il suo utilizzo come dimostrano gli ecosistemi che si sono costituiti in tal senso.

In questo scenario non si può non sottolineare l’importanza strategica per il nostro Paese derivante dall’ampio e diffuso utilizzo che avrebbe l’uso del GNL e bioGNL sui mezzi pesanti commerciali e nel trasporto marittimo, con una tecnologia – che ci vede eccellenza mondiale – che riuscirebbe ad allinearsi alla sempre più restrittiva normativa sulle emissioni in mare e nei porti.

L’alternativa al motore endotermico è costituita dal motore elettrico (ed in questa fase non andiamo ad analizzare come viene prodotta l’energia elettrica che lo alimenta) specialmente nelle aree densamente popolate e, quindi, in particolar modo nel trasporto dell’ultimo miglio e regionale.

Le tecnologie oggi disponibili che permettono di azzerare le emissioni nella fase TTW1 sono di fatto 3:
1. i veicoli elettrici a batteria,
2. i sistemi con catenaria (ERS, Electrified Road Systems, la tecnologia dei filobus ma applicata ai camion e agli autoarticolati oppure soluzioni di ricarica dinamica induttiva)
3. i veicoli a idrogeno (con fuel cell, veicoli quindi elettrificati, o, come tecnologia attualmente in sviluppo e che tecnicamente non azzera ma riduce fortemente le emissioni di CO2 allo scarico, con motori endotermici alimentati a idrogeno).

Numerosi sono gli studi che hanno analizzato la fattibilità dei percorsi tecnologici per la decarbonizzazione e l’azzeramento delle emissioni allo scarico del trasporto merci. A livello internazionale si segnala senza dubbio l’ultimo report dell’ICCT2 (International Council for Clean Transport), mentre a livello italiano una analisi comparativa del costo a vita intera del veicolo (TCO, total cost of ownership, il costo su 5 e 10 anni di utilizzo di un mezzo che include l’acquisto, il rifornimento, la manutenzione e altre voci di costo operative) e degli impatti a livello di decarbonizzazione e ambientali sull’intera catena del valore dei mezzi (dalla produzione al fine vita) è stata effettuata nell’ambito del progetto ZET3 (Zero Emission Trucks), che oltre all’Italia ha curato analisi simili anche in altri paesi europei.

Questi sono solo alcuni degli studi che mostrano alcune evidenze importanti, se effettivamente gli sviluppi tecnologici che ci si attende si manterranno realistici nel corso dei prossimi anni:
● visti i percorsi tipici delle merci in Italia (ma anche in Europa), già oggi molti mezzi si potrebbero elettrificare rispettando i vincoli operativi di percorrenza e di tempistiche;
● in differenti stati i mezzi elettrici a batteria di trasporto merci a livello urbano e regionale potranno presto essere più economici a livello di costo a vita intera rispetto a quelli diesel (già dal 2025 secondo varie stime);
● dal punto di vista della decarbonizzazione i mezzi elettrici a batteria risultano i più efficaci ma che, vista la vita utile dei mezzi, per raggiungere obiettivi di azzeramento delle emissioni da trasporto nel 2050 sarà necessario attuare misure diverse dallo stop alla vendita di veicoli a motore a combustione interna dal 2040;
● l’idrogeno potrà essere una potenziale soluzione a zero emissioni per il lungo raggio ma sarà centrale che il costo dell’idrogeno verde si abbassi sensibilmente al fine di garantire una potenziale parità di prezzo con il diesel, che comunque non si raggiungerà nell’arco di 4-5 anni ma sicuramente in un periodo più lungo;
● le soluzioni di ricarica in movimento, con sistemi di catenaria o con ricarica induttiva, potrebbero rappresentare un’applicazione realizzabile sulle tratte ad alto scorrimento; tuttavia, la costruzione della infrastruttura, la sua pianificazione e il fatto che i mezzi compatibili con questa soluzione potranno essere adottati solo una volta che l’infrastruttura sarà completata, pongono seri dubbi sull’applicabilità di questo tipo di soluzione.

Se andiamo ad analizzare le prospettive per i mezzi alimentati a batteria e ad idrogeno, possiamo evidenziare alcuni interessanti spunti di analisi.

Mezzi elettrici a batteria

Fonte di alimentazione ed efficienza: le reti elettriche sono fondamentalmente l’infrastruttura più capillare nel mondo e la disponibilità di elettricità di per sé non rappresenta un problema. Sarà però fondamentale, al fine di raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione, che l’energia elettrica che alimenterà i mezzi di trasporto sia proveniente da fonti rinnovabili. In tal senso il piano RePower EU, che propone obiettivi dell’80% di generazione rinnovabile nel mix di generazione nazionale dei paesi europei, potrà garantire già al 2030 un contributo importante dell’approvvigionamento di energia alla decarbonizzazione. Questi scenari rappresentano un importante contributo all’efficienza WTW dei veicoli elettrici a batteria, che potrebbero garantire una energia utile alle ruote superiore al 60% di quella prodotta da fonti rinnovabili all’origine.

Veicolo: le batterie agli ioni di litio sono in continuo e rapido sviluppo, in primo luogo in termini di ottimizzazione delle attuali tecnologie (con chimiche del catodo che si spostano verso soluzioni LFP, litio ferro e fosfato, materiali ampiamente reperibili e più economici delle altre soluzioni) che portano a una riduzione di peso, volumi e costi a parità di capacità, aumentando quindi l’autonomia dei mezzi laddove necessario; in secondo luogo nuove tecnologie si stanno già affacciando e sembrano rappresentare promettenti alternative agli ioni di litio (ioni di sodio, che già potrebbero entrare in commercio nell’arco di 3 o 4 anni, o gli ioni di zolfo e lo stato solido, che potrebbero rappresentare soluzioni interessanti nel medio lungo periodo). I costi delle sole celle oggi si aggira ancora intorno ai 140 $/kWh (esclusi i pacchi e i software di controllo) ma si prevede una discesa importante fino ai 30 $/kWh da dopo il 2040. Tanto ancora si può fare anche sui sistemi software di controllo e su componenti integrati che permettono una maggiore robustezza costruttiva e un peso inferiore dei componenti rispetto alla motorizzazione endotermica in prospettiva. Ad oggi comunque sul mercato ci sono già ormai un buon numero di modelli: 10-15 per i van, con autonomie che superano anche i 250 km, e più di 10 modelli di truck di varie fasce di peso (dagli small agli Heavy duty), per lo più con soluzioni modulari che portano a superare i 500kWh di pacchi batterie con autonomie che superano i 400 km; nuovi modelli si stanno per affacciare sul mercato che garantiscono autonomie anche superiori e delle potenze di ricarica che raggiungo 1000 kW (standard Megawatt charger) grazie ai nuovi standard di tensione dei power train (tra i 1000 e i 1300 volt). Sfruttare gli sviluppi tecnologici sarà centrale per raggiungere una riduzione di prezzo che è l’ostacolo principale per l’adozione di mezzi pesanti a batteria (oggi ancora circa il doppio di un veicolo diesel equivalente).

Infrastrutture: le infrastrutture di ricarica di tipo conduttivo, con cavo e presa, saranno sicuramente quelle più pronte a rispondere alle esigenze di ricarica dei mezzi. Gran parte dei mezzi commerciali leggeri potrà ricaricarsi in corrente alternata a più bassa potenza direttamente durante il rimessaggio notturno e lo stesso si potrà fare per una larga parte delle applicazioni dei mezzi pesanti tramite ricariche conduttive in corrente continua. A queste soluzioni però potranno accompagnarsi nel futuro soluzioni di cambio delle batterie in deposito o in facility dedicate (il cosiddetto battery swapping) che potrà in futuro rappresentare una alternativa interessante, se si riuscirà però a lavorare sulla standardizzazione e su tecnologie di scambio rapide e affidabili. Per quanto riguarda la ricarica per i viaggi di lunga tratta appare necessario una pianificazione corretta della rete di ricarica ad altissima potenza (sopra i 500 kW) quantomeno sulle reti TEN-T per abilitare la ricarica nei tempi compatibili con le soste obbligatorio per gli autisti (45 minuti di fermo). In parte il Regolamento sui combustibili alternativi prende in carico questo obiettivo con degli obblighi di infrastrutturazione delle aree di servizio con un limite minimo di potenza e numero di punti di ricarica.

Mezzi alimentati a idrogeno

Fonte di alimentazione ed efficienza: la produzione di idrogeno sarà una prima grande sfida da affrontare vista la spesa energetica ingente per la produzione di idrogeno verde come la conosciamo oggi (attraverso il processo di elettrolisi dell’acqua alimentata con energia elettrica da fonti rinnovabili). Se oggi la produzione di idrogeno verde supera i 10€/kg, rendendolo una fonte di energia attualmente troppo dispendiosa, l’obiettivo di abbattimento del costo al di sotto degli 1,5 €/kg appare ancora lontano e non è detto che la disponibilità di idrogeno verde sul mercato sarà sufficiente a garantirne l’approvvigionamento a differenti settori economici (industria, agricoltura e, in questo caso, trasporti). L’efficienza complessiva delle trasformazioni, anche nel migliore degli scenari di sviluppo degli elettrolizzatori, non supera il 25% di energia utile alle ruote nel caso dei veicoli FCEV (a fuel cell) e inferiore al 20% nel caso di motori a combustione interna alimentati a idrogeno, rendendole dal punto di vista sistemico soluzioni energeticamente ed economicamente costose.

Veicolo: i veicoli a idrogeno hanno oggi ottime autonomie che possono superare gli 800 km, rendendoli una soluzione potenzialmente interessante per i percorsi di lunga tratta dei mezzi superiori alle 16 tonnellate. Il sistema di stoccaggio a bordo richiede alte pressioni (da 700 bar, ben maggiori di quelle del metano, più denso dell’idrogeno) mentre le potenze sono paragonabili a quelle dei veicoli a batteria nel caso della tecnologia a fuel cell, che impone un motore elettrico per sfruttare la trasformazione da idrogeno a energia elettrica nella cella a combustibile; per la stessa ragione il veicolo FCEV è dotato di una batteria per gestire i flussi di energia, per quanto di capacità estremamente più contenuta rispetto ai veicoli BEV. Il rifornimento avviene nell’ordine dei minuti (8-10) ma i veicoli scontano ancora bassi volumi di mercato, rendendoli ancora più costosi degli equivalenti a batteria. E’ prevista una riduzione di costo significativa delle celle a combustibile (fuel cell) ma difficilmente sarà più veloce della riduzione di prezzo delle batterie, sia per i minori volumi sia per i più limitati margini di miglioramento tecnologici. Nel caso del motore a combustione interna alimentato a idrogeno le emissioni di CO2 sono estremamente basse, per lo più prodotte dal lubrificante alle alte temperature di combustione dell’idrogeno, restano significative le emissioni di inquinanti locali, in particolare di ossidi di azoto. Il vantaggio dal punto di vista industriale è di mantenere in piedi molta della tecnologia e delle linee produttive dei motori a gas naturale, con modifiche necessarie all’iniezione, al controllo della combustione e ai sistemi di stoccaggio. Ad oggi, tuttavia, ancora non sono disponibili sul mercato modelli di mezzi pesanti con tecnologia a combustione di idrogeno.

Infrastrutture: Per quanto riguarda la tecnologia a idrogeno, le principali problematiche infrastrutturali sono quelle relative a garantire una capillare distribuzione del vettore ad un elevato numero di stazioni tale da ottenere un adeguato ritorno economico dell’investimento da parte degli operatori, a differenza della rete elettrica già ampiamente distribuita sul territorio. I distributori di idrogeno ad oggi sono sistemi piuttosto costosi sia come investimento iniziale (nell’ordine di 1 milione di euro) sia a livello di costi operativi, in particolare di manutenzione. Se molti grandi operatori europei che gestivano distributori a idrogeno hanno deciso di chiuderli nel corso dell’ultimo anno, dei piani sono in corso per infrastrutturare almeno le strade ad alto scorrimento. Decisivo è tuttavia il tema del trasporto ai distributori dell’idrogeno dal luogo di produzione: al momento le soluzioni che si stanno sviluppando non sono ancora mature (trasporto tramite gasdotti appositi per l’idrogeno, attraverso la trasformazione in ammoniaca e successiva scissione di azoto e idrogeno) e in gran parte viene trasportato su camion (diesel) sotto forma gassosa con serbatoi sotto pressione o sotto forma liquida con sistemi criogenici, il tutto con ulteriori costi nella fase di trasporto.

Uno studio di Motus-e appena pubblicato presenta una possibile roadmap per l’elettrificazione dell’autotrasporto analizzando differenti scenari di penetrazione dei veicoli per il trasporto merci, dai veicoli più leggeri a quelli pesanti, e individuando diversi fattori da implementare al fine di accelerare l’elettrificazione del trasporto merci al 2030, anche considerando gli obiettivi di decarbonizzazione.

Lo studio è particolarmente interessante perché sistematizza gli elementi di conoscenza del panorama nazionale ed europeo che influenzano il processo di transizione ecologica nel settore del trasporto su gomma delle merci e fornisce una strategia realistica e pragmatica per affrontare i necessari cambiamenti. Motus-E, in rappresentanza di operatori industriali, filiera automotive, mondo accademico e movimenti di opinione, traccia una concreta roadmap per la decarbonizzazione del settore, incentrata su uno scenario di incentivazione alla transizione Possibile, che, a fianco allo stimolo economico per la riconversione del parco veicolare, prevede la necessità di incentivi di sistema in cui istituzioni e mondo industriale dovranno collaborare attivamente nell’attuazione delle azioni proposte identificando modelli di utilizzo degli stimoli economici compatibili con le correnti pratiche e procedure operative nella filiera logistica.

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