Packaging, in arrivo il “Santo Graal” per la circulary economy

Quando scartiamo i nostri rifiuti raramente pensiamo a quel che succede dopo. Un tempo tutto finiva in discarica e non ci si pensava più. Poi si è cominciato a riconoscere il valore residuo degli scarti e a pensare di riciclarli. Oggi il rifiuto è una ricchezza e si chiede al cittadino una prima azione di selezione sempre più accurata. E così nelle nostre case abbiamo secchi separati per la carta, la plastica e le lattine, per il cosiddetto umido, il vetro, l’olio di frittura, le pile, le lampade, le apparecchiature elettroniche, l’indistinto ecc. Si tratta già di una attività notevole e complicata che ha richiesto spazi domestici e nuove attenzioni.

Qui ci concentriamo su uno solo dei secchi di separazione, fra l’altro, con il maggior incremento di volume negli ultimi 2 o 3 anni: quello della plastica e lattine. Vi mescoliamo molti oggetti di diversa composizione. Per le lattine parliamo di banda stagnata e di alluminio: si tratta di parti metalliche che vanno già al riciclo integrale come rottami metallici, facilmente separabili per gravità. Le plastiche invece sono un complesso conglomerato di materiali diversissimi. L’ideale sarebbe triturare tutte le plastiche e rifonderle tal quali, ma le caratteristiche dei vari materiali sintetici sono così diverse che in pratica quello che si ottiene è di utilizzo difficoltoso e limitato e con basso valore; si dovrebbero invece selezionare i diversi materiali per suddividerli una volta disponibili in gruppi puri. Si può pensare a un nastro trasportatore su cui scorrono i nostri rifiuti, con persone che prelevano i materiali: una prende le bottiglie di PET, un’altra i contenitori di polietilene, una terza i vassoi di polistirolo espanso, e poi le vaschette trasparenti, e così via. È quello che si fa nei centri di riciclo: si tratta di un lavoro, come si dice, manual intensive, che però riesce a suddividere una parte ridotta del totale. Pensate alla mole dei fogli di cellophane anche multistrato e multimateriale, dei fogli di polietilene a bassa densità, dei tappi di polipropilene, degli anellini dei tappi di polipropilene che rimangono sui colli delle bottiglie di PET, delle cosiddette patatine di polistirolo espanso per imballaggio, dei sacchetti di PVC, degli sfridi di materiali ecc. Il sogno sarebbe quello di poter effettuare una selezione meccanizzata: si eliminerebbe il lavoro manuale e si otterrebbe una plastica pura, pronta per il riciclo. Il costo del trattamento sarebbe minimo e riciclerebbe con successo la plastica che oggi invade ogni territorio e il mare. Un processo automatizzato sarebbe così interessante da giustificare anche investimenti importanti. Se ne parla da tempo come il Santo Graal dell’industria del riciclo. Un progetto che da solo darebbe grande impulso alla cosiddetta Circular Economy.

È proprio questo l’obiettivo di un progetto chiamato non a caso Holy-Grail, sorto per iniziativa di Gian De Belder, ricercatore di Procter & Gamble, nel 2016. Si tratta di uno sforzo collaborativo che ha voluto risolvere il maggiore ostacolo al riciclo della plastica: l’impossibilità di riconoscere i diversi materiali in modo automatizzabile. Il progetto ha validato il concetto e la sua fattibilità oltre ad avere individuato i benefici ed ha vinto nel settembre del 2019 il Packaging Europe’s Sustainability Award. Negli ultimi tre anni Procter & Gamble ed i suoi partners di progetto hanno investito risorse umane e monetarie per identificare un metodo atto a far riconoscere i materiali durante la selezione dei rifiuti: è stato definito l’utilizzo di Digital Watermarks cioè una sorta di “filigrana” digitale visibile solo alle apparecchiature di selezione senza bisogno di complicate e costose aggiunte ai materiali da selezionare. È stato anche sviluppato un prototipo di selezionatore ad alta velocità che ha confermato la fattibilità del concetto di selezione automatica degli imballi risultanti da una raccolta differenziata dei rifiuti in plastica.

Dal progetto è nata una iniziativa denominata Holy Grail 2.0 dove molte aziende stanno lavorando insieme per definire rapidamente gli standards. È stata confermata la fattibilità tecnica della filigrana digitale, la distinguibilità tra materiali food-grade e non food-grade, la riconoscibilità di materiali opachi e neri e degli imballi completamente sleeverati, l’identificabilità dei film multi-strato e multi-materiale, e si tratta ora di fissare le regole condivise che potranno comprendere anche controlli anti-contraffazione. Già 115 aziende diverse sono interessate all’iniziativa. Procter & Gamble sta adeguando il packaging di alcuni brands come Lenor e Fairy e sta preparando future conversioni. Ci si aspetta di poter quindi offrire la selezionabilità automatica degli imballi in materia plastica della grande parte dei Fast Moving Consumers Goods in Europa in un tempo limitato. Oggi l’attenzione alla riciclabilità dei materiali in ottica di Circular Economy è molto aumentata e presto i consumatori potranno preferire prodotti i cui imballi sono adatti al sorting automatico una volta divenuti rifiuti.

 

Antonio Malvestio

 

Le aziende che supportano Holy Grail 2.0:

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Per maggiori informazioni:

https://progressivegrocer.com/walmart-digimarc-automate-markdown-process-packaged-fresh-food
https://www.newplasticseconomy.org/assets/doc/Holy-Grail.pdf
https://www.bbc.com/news/av/business-50335737/could-invisible-barcodes-revolutionise-recycling
https://us.pg.com/blogs/HolyGrail/

 

 

 

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