Brexit, criticità e opportunità: quattro scenari per la logistica

L’uscita di un paese membro dall’Unione europea non è in alcun caso una buona notizia. Il mancato accordo tra l’Ue e il Regno Unito costituisce senza dubbio un momento di grande incertezza sul futuro e sugli impatti che potrà generare. Le prospettive di un’intesa commerciale fair erano state faticosamente intraviste, ma se saltano, il post brexit potrebbe essere assai diverso da come lo avevamo immaginato finora e gli impatti sulla logistica molto complessi: talmente complicati che già molti spedizionieri stanno approntando nuove procedure in caso di hard brexit.

Abbiamo davanti a noi 4 scenari possibili:

  • Una brexit soft sorretta da un accordo con l’Ue con area di libero commercio e mantenimento della rappresentanza nel Regno Unito nelle agenzie per la sicurezza, per l’ambiente, etc.;
  • Nessun accordo con l’Ue, ma applicazione delle regole del WTO (World Trade Organization) che comporterebbero frontiere con nuove procedure di transito, possibili tariffe e dazi con maggiori costi per la logistica;
  • Nessun accordo con l’Ue, ma intese bilaterali di libero commercio per la circolazione di beni e servizi con possibili dazi e tariffe da stabilire successivamente
  • Hard brexit: nessun accordo con la conseguente istituzione di frontiere fisiche, dazi e tariffe.

Senza contare poi gli impatti devastanti in termini di condivisione delle informazioni e dei dati (penso alle dogane appunto), alla sicurezza, alla tutela dell’ambiente e del lavoro.

Per quello che riguarda l’Italia, in termini di scambi commerciali, anche se il Regno Unito è un partner importante, abbiamo un fatturato di circa 24 miliardi di euro, pari al 5% del nostro export.

Quindi no panic: peggio di noi sono messe Irlanda, Belgio, Olanda, Francia e Germania.  Ma la situazione più grave la vivrà il Regno Unito che subirà danni dal punto di vista commerciale, con penalizzazioni sulla manodopera specializzata, obbligherà i propri cittadini a sostenere più costi per alimenti e bevande (+27-35%), per le bevande zuccherine (+30%), per carne, cereali, olio e vino (import dall’Italia per 3,5 miliardi euro). Senza considerare tutte quelle multinazionali che hanno scelto il Regno Unito come sede principale, ma che hanno una catena del valore che si estende su tutta l’Unione europea, come per esempio Airbus con circa 14.000 addetti in Inghilterra, JP Morgan, Goldman & S. Morgan S.

Come spesso accade, accanto alle  difficoltà che senza dubbio incontreranno le imprese italiane che esportano in UK, si intravedono all’orizzonte anche interessantissime opportunità legate alla necessità per gli investitori stranieri di rilocare i propri investimenti all’interno dell’Unione europea: parliamo, stando a uno studio di Confindustria (2018), di circa 282 miliardi di euro in dieci anni con una quota che potrebbe essere intercettata dal nostro Paese pari a circa 26 miliardi di euro, pari a circa lo 0,4 del PIL.

Massimo Marciani

Presidente del Freight Leaders Council

 

 

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