Gargiulo: “La sicurezza nei trasporti è un vantaggio per tutti, ma il settore stradale deve accelerare il ricambio del parco mezzi per aver tecnologie più avanzate”

Come direttore dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie si è occupato molto del concetto di sicurezza nei trasporti. Che cosa vuol dire e come si declina oggi? 

È di tutta evidenza che l’esperienza personale mi porta a ribadire che nei sistemi di trasporto la sicurezza non è, come alcuni sostengono, una caratteristica primaria ma è un presupposto. Altresì, ho sempre sostenuto che l’attenzione alla sicurezza, oltre ad essere un valore in se, è anche una garanzia per il settore in termini economici: chi userebbe un certo vettore rispetto ad un altro se si diffondesse la nomea di insicurezza? Anche perché va considerato il valore della sicurezza percepita. Noi per fortuna, per tradizione e, negli ultimi dieci anni per merito dell’attività dell’ANSF, abbiamo un settore ferroviario fondamentalmente sicuro, confortato da dati statistici di eccellenza e simbolo di organizzazione affidabile. Non c’è dubbio che nei grandi risultati raggiunti negli ultimi dieci anni, il contributo delle moderne tecnologie sia stato essenziale e la diffusione ormai capillare dei sistemi di controllo di marcia-treno ha permesso di arrivare all’obbiettivo zero per certe casistiche di incidente. Allargando questa riflessione a settori diversi da quello ferroviario, anche nel campo del trasporto navale e di quello aereo, si può sostenere la marginalità degli eventi negativi rispetto ai grandissimi numeri di queste tipologie di trasporto. Il settore dove c’è ancora da lavorare è quello del trasporto su gomma dove la compenente umana è ancora determinante. Mi sembra però che anche in questo comparto si sia intrapresa la strada giusta grazie ai moderni sistemi in via di diffusione quali  l’Active City Brake, il sistema di correzione della marcia, l’antipattinamento quali l’ESP, il rilevatore di colpo di sonno ecc. che però sono disponibili solo sui camion più nuovi: occorre quindi accelerare il ricambio del parco mezzi anche per elevare la sicurezza del trasporto stradale.

L’intermodalità, ovvero l’incontro di diverse modalità di trasporto, può trarre vantaggi da un coordinamento univoco della sicurezza? Quali sono secondo lei le specifiche esigenze dei vari settori (strada, ferro, mare) sul fronte della sicurezza?

Sì per alcune fattispecie. Anche perché per certi aspetti questo coordinamento e anche, a volte, l’emulazione tra settori ha già portato buoni risultati. A mio avviso la componente dove si può ancora agire trasversalmente è sulla sicurezza dei materiali trasportati, specie se si tratta di merci pericolose. Anche se sono passati quasi dieci anni, abbiamo tutti ancora negli occhi la tragedia di Viareggio, un incidente ferroviario grave che non si deve assolutamente più ripetere, ma i cui effetti sono stati amplificati dalla tenuta non sufficiente dei contenitori di GPL. Se non ci fosse stata la rottura del carro non si sarebbe verificato lo svio e quindi anche la successiva catastrofe: come si cerca di elevare la qualità dei veicoli ferroviari, l’affidabilità delle manutenzioni, probabilmente si può contribuire alla prevenzione con ulteriori miglioramenti dei contenitori, i cui benefici andrebbero anche sulle altre modalità di trasporto.

Il settore delle merci pericolose è molto regolamentato (ADR, RID, IMGD). Probabilmente manca però una visione d’insieme. Per favorire tale unicità, sarebbe opportuno che vi fosse una maggiore integrazione tra gli organi vigilanti che dovrebbero tra l’altro uniformare gli standard dei controlli e soprattutto la concezione della catena delle responsabilità: ne avrebbe beneficio l’intero comparto con probabili economie di scala per gli operatori.

Che cosa ne pensa del trasporto delle merci sui binari dell’Alta velocità?

Penso che sia una scommessa molto interessante, ma ancora tutta da verificare. Mi spiego meglio: partendo dagli aspetti intuitivamente positivi di tale opzione. È fuori discussione che oggi, quando il tempo ha un valore infinitamente superiore a quello che gli veniva attribuito fino a trenta anni fa, l’ipotesi di avere per le merci delle velocità commerciali notevolmente maggiori, non può che essere positiva. In secondo luogo, valorizzare l’infrastruttura andando fino in fondo al concetto alta velocità e alta capacità, può fare nascere un valore aggiunto notevole nel ritorno economico degli investimenti fatti per la realizzazione dell’infrastruttura. Ma perché parlo di scommessa? Fondamentalmente per due motivi. Il primo è legato alla gestione dell’infrastruttura: le tracce diurne sulla rete sono già notevolmente cariche e fare passare dei convogli merci, che pur con velocità elevate comunque non sarebbero omotachici con l’alta velocità passeggeri, risulta possibile solamente in qualche rara finestra di morbida; ne deriva che si devono utilizzare le ore notturne che però sono dedicate in gran parte alle attività di diagnostica e manutenzione di carattere corrente, il che implica anche qui dei limiti nell’individuazione delle tracce possibili. Il secondo aspetto è legato all’integrazione modale per la distribuzione: se per viaggiare dall’interporto Quadrante Europa di Verona a quello di Nola si impiegano 6 ore anziché 9 è un ottimo guadagno, ma realmente utile se la logistica alle due estremità del percorso è gestita bene. Altrimenti l’ultimo miglio rischia di inglobare il tempo risparmiato sui binari.  Come noto a tutti ci sono in materia alcuni esperimenti in corso o in preparazione. Alcuni vettori privati si stanno attrezzando per treni merci completi negli orari notturni e Trenitalia ha attrezzato un ETR 500 di prima generazione per trasporti merci di materiali non particolarmente ingombranti ma di maggior qualità, una sorta di corriere via ferro. È molto presto per dare giudizi, ma sono contento che si sperimenti perché, al di là della soddisfazione dei risultati economici, possono nascere esperienze nuove da approfondire.

La logistica oggi ha bisogno di…. Come è più appropriato finire questa frase?

Il termine “logistica” deriva dal greco “logikos” che significa “che ha senso logico”, a sua volta derivato da “lógos”, cioè “ordine”, per i greci infatti i due concetti erano strettamente collegati ed espressi con la stessa parola. Da lógos deriva anche “logica” cioè lo studio delle argomentazioni ed il modo in cui risultano corrette, quindi tale termine, come si vede, si rifà allo stesso concetto di “ordine”.

In termini più moderni diremmo che è l’insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che governano in un’azienda, i flussi di materiali e delle relative informazioni dalle origini presso i fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e anche al servizio post-vendita.

Quindi un misto tra arte e scienza dell’organizzazione, della progettazione e dell’attività tecnica riguardante i requisiti, la definizione, la fornitura e le risorse necessarie a supportare obiettivi, piani ed operazioni, il tutto in modo efficiente e al minor costo possibile, comprendendo anche la gestione dei processi di scambio dei relativi dati e delle relative informazioni.

Mi sembra doveroso anche ricordare che le origini della logistica sono antichissime, infatti veniva considerata una branca dell’arte militare che trattava tutte quelle attività volte ad assicurare agli eserciti quanto si rendesse necessario per vivere, muoversi e combattere nelle migliori condizioni di efficienza. I grandi condottieri della storia da Alessandro Magno a Giulio Cesare avevano una attenzione maniacali per questi aspetti, pur chiamandoli con termini molto più semplici. Anche in tempi molto più recenti, provate solamente a pensare se un’operazione come lo sbarco in Normandia del 1944, sarebbe stato possibile senza una più che adeguata organizzazione logistica. Solamente nella seconda metà del Novecento il concetto cominciò a essere ampliato e venne esteso anche al settore economico, industriale e trasportistico.

Ho voluto fare questa lunga premessa perché la storia e le origini di qualsiasi cosa sono utili per guardare al futuro. E infatti, tornando alla domanda sui bisogni attuali della logistica, occorre avere la stessa determinazione e capacità di sviluppo dei nostri avi. Occorre in particolare che alla logistica industriale e dei grandi volumi, oggi pressoché consolidate, si aggiunga una visione più integrata, vale a dire una logistica di progetto. I sistemi più complessi devono prevedere già nella fase di progettazione l’attenzione alle esigenze logistiche prevenendo eventuali successivi adattamenti che possono causare situazioni obbligate non ottimali e la nascita di spese aggiuntive. Inoltre, credo sia interessante quella che chiamiamo logistica di ritorno, ovvero quel processo di pianificazione, implementazione e controllo dell’efficienza sia delle componenti materiali che immateriali dei processi, al fine di un ritorno iterativo di informazioni che possano fare riguadagnare valore ai prodotti e ai servizi, in modo tale da recuperare ulteriormente il valore residuo per un ulteriore ottimizzazione.

Lei si è anche molto occupato di trasporto urbano. Perché secondo lei ancora non abbiamo vinto la sfida della sostenibilità della consegna delle merci in città?

Domanda che richiede una risposta molto articolata. Occorre preliminarmente ricordare che oggi in Italia il 65% delle merci è trasportata su gomma, l’80% di queste è prodotta nelle aree metropolitane e circa il 90% è distribuito nelle medesime. Questi numeri già dicono molto dell’entità del problema.  Prima di tentare di dare qualche spiegazione, si deve considerare la situazione urbanistica di gran parte delle nostre città, che sono caratterizzate da centri storici spesso medioevali e nei quali alle presenze turistiche si aggiungono attività terziarie di diverso tipo. Però, nonostante queste problematiche, la distribuzione urbana delle merci rappresenta un settore strategico per la mobilità cittadina, presupposto imprescindibile per la crescita economica e lo sviluppo della società. Il 70% della popolazione dell’Unione Europea vive nelle città che producono oltre il 70% del PIL complessivo, scontando costi enormi legati alla congestione. Ciò significa che bisogna trovare un giusto compromesso tra il rispetto delle aree urbane e della vivibilità, e la garanzia di una efficace distribuzione. La vicenda è particolarmente complessa per la grande articolazione e differenza dei soggetti coinvolti. È noto a tutti che la distribuzione per esempio dei generi alimentari è molto complessa per la deperibilità, per la catena del freddo, per la necessità a volte di distribuzione quotidiana. A questo vanno aggiunti alcuni aspetti legati ai comportamenti: camion in doppia fila e auto parcheggiate sulle piazzole è diventata la normalità. Tutto ciò detto la domanda è scontata: cosa fare?

Quindi, quali sono, secondo Lei, i passi da fare per conciliare la mobilità di persone e merci nelle maggiori città italiane?

L’ultimo stadio del processo evolutivo, che conduce alla nascita del concetto di gestione della catena di distribuzione, è caratterizzato dalla presa di coscienza da parte di tutti gli attori che il miglioramento nella gestione dei flussi all’interno della catena logistica non può prescindere dal fattivo coinvolgimento degli attori esterni: la logistica assume un ruolo sempre più centrale ed il suo obiettivo diventa sostanzialmente quello di governare tutte le fasi del processo produttivo, anche esterne all’azienda, secondo una visione sistemica.

In quest’ottica il concetto di gestione della catena di distribuzione non deve essere inteso come sinonimo di logistica integrata, ma come un nuovo approccio di management in cui la singola azienda diventa parte di una rete di entità organizzative che integrano i propri processi per fornire prodotti, servizi e informazioni. Il passaggio della logistica da una funzione sussidiaria ad un ruolo strategico si è accompagnato in molte aziende ad una propensione a esternalizzare le attività di trasporto e di movimentazione delle merci, affidando a terzi un compito che non rientra nel core business aziendale sempre allo scopo di minimizzare i costi ed assicurare maggiore flessibilità alla struttura produttiva.

Ma questa pluralità di soggetti ha a maggior ragione necessità di regolamentazioni e coordinamento. E, come avviane in tanti settori, più vi è liberalizzazione, più ci devono essere regole, catene di responsabilità chiare e controlli adeguati.

Pensando alla distribuzione nelle grandi città, vi è l’evidenza di scarsa attenzione a questo problema da parte delle Amministrazioni comunali che spesso lasciano fare. Invece porre delle regole sugli orari, sui giorni, sulle dimensioni dei veicoli, sulle aree dedicate al carico e scarico, ecc., possono diventare fattori determinanti per discernere tra una situazione caotica a una almeno accettabile. Per dare per lo meno avvio a queste cose è necessaria in ogni realtà la predisposizione di un piano integrato, da confrontare in sede pubblica con tutti gli addetti, che faccia innanzitutto capire a tutti che l’anarchia è finita e che poi integri nella cultura di settore i concetti base con quello che un processo ordinato prima o poi porta vantaggi per tutti.

Perché ha ritenuto opportuno associarsi al Freight Leaders Council?

 Perché ritengo utile un luogo di confronto e scambio di idee dove soggetti con estrazioni diverse, e quindi esperienze diverse, possono far maturare in termini sia teorici che pratici nuove ipotesi di lavoro e nuove chances. Lo ritengo anche utile per la mia collaborazione con il mondo universitario sia per un mio personale aggiornamento sia per cogliere delle occasioni di ricerca ed approfondimento per gli studenti.

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